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Un pianeta chiamato India

Nel mio piano il Nepal lo lascio in bus, attraverso il confine terrestre, da lì proseguo la lunga discesa verso Varanasi.

Una delle città più antiche al mondo, luogo sacro, capitale spirituale dell’India, una nazione dove sul tema la concorrenza non manca.

Arrivato lì, circondato da fiumi umani mi incammino verso il fiume sacro per eccellenza, il Gange.

Unico posto sulla terra che permette agli uomini di sfuggire al Samsara, perpetuo ciclo di vita, morte e rinascita, motivo per cui induisti da ogni parte del paese vengono a morire qui, cremati nei burning ghats, pire funerarie a pochi metri dall’acqua purificatrice, dove poi finiscono le ceneri.

In quel momento, in un turbinio onirico di colori, odori, emozioni colgo il significato dell’esistenza.

Naturalmente non è mai successo.

L’ immaginazione percorre strade che la realtà può al limite solo attraversare, ogni tanto si incontrano.

Non è questo il caso, a Varanasi non sono mai arrivato.

Confini

Il COVID 19 fa ancora notizia, i confini sono stati da poco riaperti, ma non quelli terrestri, almeno non per chi va da Nepal ad India, per chi fa il percorso contrario sì.

Forse il virus va a senso unico, fatto sta che in India posso arrivarci solo volando, da Kathmandu a Delhi, ma non prima di aver fatto un tampone molecolare, non richiesto per i cittadini di 90 stati, tra i quali però non c’è l’Italia.



Ricapitolando, sono in Nepal da due mesi, ma in quanto cittadino italiano devo fare il tampone per entrare in India, che non è richiesto per un nepalese che va in India.

Tampone il cui esito, mi viene assicurato, si potrebbe falsificare, cambiare di risultato, nel caso fosse positivo.

Mi viene mal di testa, la mia immaginazione non poteva certo arrivare a tanto.

Se l’essere umano spesso non brilla per coerenza e buon senso, in materia di confini nazionali e visti da sicuramente il suo meglio, la pandemia ha reso la questione ancora più schizofrenica.

Ci ho messo un po’ ad ammettere a me stesso che in un modo o nell’altro sarei finito in India, mi faceva sinceramente paura.

Il desiderio l’ho sempre avuto, ma per qualche motivo non mi ritenevo pronto, tra me e quel paese c’era un confine immaginario che non pensavo di poter scavalcare.

Sentire il mio amico Roberto descriverla come “la Bocconi del viaggiatore” non ha fatto che alimentare questa aspirazione.



Era solo diventata una questione di tempo.



Il fatto che mi trovassi in Nepal, a due passi, l’ha reso quasi un imperativo, la classica situazione da carpe diem, che forse inconsciamente mi sono andato a cercare, come se il tempo trascorso nelle siderali alture nepalesi, tra i vicoli di Kathmandu fosse in realtà un grande allenamento per affrontare la realtà indiana ed ora non mi rimanesse che presentarmi a questa illusoria chiamata alle armi.

Si sentono molti racconti strani, generalizzazioni poco invitanti, su questo enorme paese.

Molti Nepalesi, da buoni vicini, non facevano molto per rassicurarmi, quando gli dicevo che sarei andato in India mi guardavano come se avessi le ore contate.



Alcuni, con fare scientifico, dividevano gli Indiani in 70% cattivi, 30% buoni.


Al netto di tutto ciò nella mia mente l’India aveva assunto le sembianze di un mostro a tre teste, con abitanti avidamente assetati del mio sangue.

Con tutti i sensi allerta, come un soldato inviato al fronte, mi preparo ad affrontarlo.

Contatto

Delhi riesce ad impressionarmi ancor prima dell’atterraggio, guardandola dal finestrino.

Enormi palazzi fatiscenti cambiano rapidamente forma, colore, dimensioni.

Si susseguono senza sosta, formando un unico agglomerato urbano che appare interminabile, anche sorvolandolo in aereo.

Una cappa avvolge la città, l’aria sembra pesante, come in un film ambientato in un futuro andato male.

L’area metropolitana della città, comprendente Nuova Delhi capitale dell’India, ha 28 milioni di abitanti, più dell’Australia.



Atterro intimorito.

L’aeroporto con le sue luci da sala operatoria, il relativo ordine, i pavimenti bianchi attraversati da svogliati inservienti in sella a lavapavimenti simili a piccole utilitarie e le sgargianti insegne dei negozi di brand onnipresenti in ogni parte del mondo sembra un luogo sicuro e rassicurante.

Le malefiche creature devono essere sicuramente là fuori ad attendermi, ma finché rimango qui va tutto bene.

La prima arma di cui ho bisogno è una minuscola scheda di plastica dotata di un potentissimo microchip, con quella riuscirò a connettermi alla rete, aumentando considerevolmente le mie possibilità di sopravvivenza.

Ne sono sicuro, nessun taxista o procacciatore di clienti (quelli che si aggirano davanti agli aeroporti sono tra i più crudeli) potrebbe ingannarmi, con una carta SIM sarei quasi imbattibile.

Le cose improvvisamente si complicano,

l’universo si sa tende all’entropia, al disordine, sembra tutto fatto apposta per minare le nostre illusorie certezze.

Forse il problema sta nel fatto che di certezze non dovremmo averne?

Fatto sta che il negozio della compagnia telefonica Airtel ha il server down, al momento è incapace di forgiare le provvidenziali schedine SIM.

Il minuzioso piano crolla miseramente, il mio cavallo alato motorizzato, di nome UBER, non potrà raggiungermi questa sera, proprio quando avevo più bisogno di lui.

Per qualche astruso motivo non riesco a connettermi nemmeno alla rete WiFi, la rabbia si miscela presto allo sconforto, non rimane che rivolgersi agli assetati taxisti. Dopo un’intensa contrattazione arrivo ad un prezzo a metà tra quello riservato ai turisti occidentali e quello giusto.

Divani che non li erano

La destinazione si trova a Chittaranj Park, nel sud-est di Delhi, non è un ostello né un hotel, ma la casa di uno sconosciuto.

Ho deciso di utilizzare couchsurfing, un servizio online di ospitalità gratuita, durante la permanenza nella capitale Indiana.

Inaspettatamente dietro a questa scelta c’è un pensiero razionale.

Qual modo migliore di rompere gli indugi con una realtà così distante dalla mia se non provando a calarcisi direttamente?

Se l’intento è capire come scorre la vita in un luogo ed entrare in contatto con i suoi abitanti al dì fuori delle dinamiche turistiche non vedo scelta migliore.

Conoscere permette di scavalcare barriere altrimenti invalicabili, di unire dove il pregiudizio, la paura dividono.

Durante il tragitto mi chiedo, non senza timori, effettivamente a casa di chi stia andando, ma allo stesso tempo una parte di me è quasi rassicurata dal fatto che in una megalopoli di dozzine di milioni di persone ci sia qualcuno ad aspettarmi.

Almeno spero.

Jayant, si chiama così il mio host, vive in una zona all’apparenza tranquilla, per quanto discretamente caotica, lontana da Nord Delhi, teatro del disagio umano più spinto.

Se non fosse per i tocchi di arredamento indiani sparsi qua e là, potrei benissimo scambiarla per un’abitazione europea.

Temperatura a parte naturalmente.

Contro ogni aspettativa ho addirittura una camera tutta per me, ma alle 23.30 ci sono 35 gradi, la notte è torrida, impossibile riposarsi e non ho fatto ancora conoscenza del giorno.

Il mattino seguente mi trovo ancora sprovvisto dello scudo protettivo dell’internet, Jayant è tanto cortese e disponibile quanto preso dalla sua routine giornaliera, mi avventuro quindi alla ricerca di un pasto con cui iniziare la giornata.

3 regole per il tuo intestino

La colazione è il pasto più difficile da affrontare per un italiano in Asia, solitamente nei centri città le alternative western non mancano, ma non è questo il mio caso.

Dovrebbe esserci un café nelle vicinanze, naturalmente non lo trovo, passo però un paio di volte davanti ad un essenziale street food su ruote, un carretto, due pentoloni, fogli di giornale e poco altro.

India e street food li ho sentiti associare spesso, l’altra associazione spontanea era quella con mal di pancia ed intossicazione alimentari. Altre paure.

Galvanizzato dall’essere uscito dal Nepal senza aver mai avuto nessun disturbo mi sento più tranquillo a riguardo e mi avvicino.

Mentalmente riesamino le tre regole d’oro del mangiare in viaggio per non passare un paio di giorni sul cesso.

– presenza di gente locale

– no carne

– cibi caldi

Una piccola folla circonda il pentolone fumante di Chole bhature, specialità della regione indiana del Punjab a base di curry di ceci, cipolle e pane fritto.

Una bomba di piccantezza.

Cornetto e cappuccino sono a qualche migliaio di chilometri di distanza.

Tuttavia le tre regole d’oro sono pienamente rispettate e faccio pure il bis tra i sorrisi degli altri avventori.

Preso dal pasto abbasso le difese, stranamente nessuno cerca di sfilarmi il telefono dalla tasca.

Bagliori

Cammino un’ora, nessuno mi fa domande, nessuno tenta di vendermi qualcosa, solo qualche sguardo incuriosito.

Staranno facendo finta per cogliermi di sorpresa?

L’unica molestia per il momento arriva dal termometro, ci sono 42 gradi.

Arrivo al Lotus Temple, tempio a forma di fiore di loto realizzato con l’intento di unire i fedeli di tutte le religioni.

Sono l’unico bianco, turisti indiani dai vestiti coloratissimi mi chiedono foto a ripetizione, video per TikTok.

Sono genuinamente interessati, mi fanno complimenti che sinceramente mi imbarazzano, gli occhi brillano di gioia, dentro c’è una scintilla di empatia, umanità difficilmente reperibile altrove.

Quella scintilla sarà un incontro ricorrente durante la mia permanenza in India, un contatto, profondo, con la persona che si ha di fronte, come se le parole fossero la parte meno rilevante della comunicazione.

Come se non ci fosse il timore di mostrare quello che si ha dentro, la propria vulnerabilità.

Qualcosa che non si può pretendere di comprendere con il pensiero razionale, evento rarissimo nel 2022 dove tutto dev’essere spiegato se no semplicemente non ha senso, non può esistere.



Il primo contatto con questa scintilla è accecante, mi godo il momento, ma sono ancora diffidente, sembra tutto troppo bello per essere vero, non è così che me la immaginavo.

Potrebbe essere che forse i “mostri”  sono negli occhi di chi guarda?

Deformati, plasmati dalla paura del diverso, dello straniero, dal timore che venire a contatto con un approccio alla vita diverso dal proprio possa profanare le proprie misere certezze?

Non c’è bisogno di amare il diverso, elevarlo in una competizione a “noi siamo meglio di loro/loro sono meglio di noi”, non è necessario condividerne ogni comportamento, ma si può accettare che esista senza dover per forza giudicare o addirittura odiare.



Questo in ogni senso, la paura è uno stato emotivo comune ad ogni uomo e gli stranieri possiamo benissimo essere noi.

Odi et amo

Scoprirò che c’è una grande differenza tra l’India delle attrazioni turistiche più affollate, dove nessuna attenzione ti viene rivolta per caso, in cui ogni azione sembra un complesso ed articolato piano per spillarti soldi dal portafoglio, dove la diffidenza e l’indifferenza sono le armi migliori a propria disposizione ed il resto del paese.

Non che il resto sia tutto rose e fiori.



Per quanto non sia l’India di trent’anni fa lo shock culturale è notevole, soprattutto in città come Delhi, tra clacson martellanti, sporcizia, scene di disagio umano, mendicanti deformi, orde di bambini di strada alla ricerca di cibo e soldi.

Non puoi aiutarli, dargli qualche soldo non servirebbe a niente se non ad alleviare il tuo senso di colpa per essere nato nella parte “giusta” del mondo.

Ti scopri impotente e lo devi accettare, che non vuol dire diventare insensibile, anche se quando rientri a casa il dubbio ti viene, ma è sopravvivenza, cerchi solo di preservare la tua salute mentale.

Può essere un buon momento per ricalcolare i propri problemi, ricordarsi di essere grati per la propria quotidianità.



In ogni caso alla fine dei quasi due mesi trascorsi qui non mi sentirò mai minacciato o in pericolo.

È difficile sentirsi soli in India.

Sicuramente per ragioni fisiche, la gente è dappertutto.

Nei mezzi, per strada, nei locali non c’è una concezione chiara di spazio privato,

il silenzio è un’utopia.



Allo stesso tempo ci si sente parte del tutto, nel bene e nel male mai separati dal resto.

I filtri scompaiono, è vita, morte, esistenza a 360°.

Spesso ti senti coinvolto, presente, sembra di abbracciare il mondo, poco dopo ti ritrovi sopraffatto, stremato, vorresti mettere tutto in pausa e fare un profondo respiro.

Un’altalena di emozioni e stati d’animo che, come scoprirò giorno per giorno, ti porta ad amarla, odiarla per poi amarla ancora.

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Comments (4)

  • Laura 2 anni ago Reply

    Ciao Leo ti leggo sempre molto molto volentieri ed imparo dalle tue riflessioni
    Ti auguro buon proseguimento un abbraccio

    Leonardo 2 anni ago Reply

    Grazie mille Laura! Un abbraccio

  • Lina Piscina 2 anni ago Reply

    Leo sei uno scrittore di viaggio nato … mi fai venire voglia di preparare lo zaino (cosa che non ho mai fatto) e partire ogni volta che ti leggo! Buon proseguimento mio caro!

    Leonardo 2 anni ago Reply

    Grazie Lina! Non è mai troppo tardi per preparare lo zaino, basta metterci dentro poca roba e tanta voglia di stupirsi.

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