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Caffeina nepalese

A Biloba Farm mi accoglie Deepa, nepalese di Pokhara, proprietaria insieme a Thomas, suo compagno e norvegese di mezz’età che divide il suo tempo tra il Nepal e l’europa, ne farò la conoscenza solo tramite qualche impacciata videochiamata su WhatsApp, ora si trova in Norvegia. 

Nelle due settimane in cui mi fermo qui Deepa è la colonna portante della struttura, parla un inglese elementare ma comprensibile, cucina, spesso aiutata dall’anziana mamma che vive nel terreno a fianco, si relaziona con i volontari e i lavoratori retribuiti della piccola azienda agricola. Al mattino ci comunica cosa si farà durante il giorno, quando sarà il nostro giorno libero, chi l’aiuterà a pulire la cucina e a chi toccherà pulire il bagno, quando non lo fa direttamente lei.

Sceglie anche il nome nepalese da dare a ciascuno di noi ed è meglio ricordarselo da subito perché userà solo quello. Lascio quindi per qualche giorno il mio nome di battesimo per diventare “Thule bai” uomo grande (come dimensioni). 

Suona bene e passate le prime volte in cui lo deve ripetere due o tre volte per avere la mia attenzione, lo interiorizzo abbastanza in fretta, soprattutto quando chiama da sopra i terrazzamenti per annunciarmi il pranzo.

Nel complesso sembra tenerci a costruire un rapporto umano con chi arriva nella sua proprietà, nel mio caso si sviluppa piuttosto naturalmente.

È stata una scelta personale quella di fare volontariato, mi pare scontato non tirarsi indietro qualsiasi cosa ci sia da fare e cercare di essere sempre gentile e disponibile, lei apprezza, non se ne approfitta mai e non mi fa mancare nulla, di conseguenza non possiamo che andare d’accordo.

Altre presenze costanti sono Birmal, il più giovane tra i lavoratori fissi, sempre felice di stare in compagnia con gli “stranieri”, conoscere la realtà europea e giocare qualche partita ad Uno.

Ramesh e Dinesh, più taciturni, parlano poco o niente inglese, ma a sorrisi ci intendiamo bene, sono grandi lavoratori con famiglie a carico a qualche villaggio di distanza. 

Un tratto ricorrente in molti Nepalesi è la loro gentilezza, sembra innata e naturale, tanto che il rischio dopo un po’ è di darla per scontata, l’altro rischio, più auspicabile, è di farsi contagiare dal loro buon umore e accettazione (mai rassegnata) di ogni situazione senza farsi trascinare da emozioni negative.

Non esagero dicendo che in quindici giorni non ho mai visto nessuna di queste persone andare in escandescenze o lagnarsi inutilmente.

Eppure i blackout elettrici erano frequenti e duraturi. Alla sera, dopo i temporali, insetti volanti simili a piccoli droni ti potevano arrivare in faccia in picchiata se eri vicino ad una fonte luminosa, c’è stato qualche minore problema di salute, tra cui una pulpite a Dinesh, che, senza batter ciglio, al mattino si è incamminato per un’ora e mezza verso il dentista (operativo) più vicino.

Semplicemente perdere tempo a lamentarsi non è culturalmente concepito. Sono spesso di una semplicità disarmante, nel senso che mostrano sensibilità, attenzioni o fanno un complimento in maniera talmente diretta e spontanea da farti rimanere stranito. Non ci sono abituato. 

È normale, dalle nostre parti non si esiterebbe ad etichettarli come atteggiamenti infantili. 

D’altronde per una società che, fin dai primi giorni di scuola inculca la competizione con i propri compagni di banco, l’individualismo e la necessità di primeggiare sull’altro, mostrare le proprie emozioni, mostrarsi vulnerabili non può che essere una debolezza.

Fa riflettere la loro dipendenza da TikTok, la sera potevano guardare video per un’ora o più di seguito completamente ipnotizzati. 

Penso che, nel loro caso, passare da un mondo senza televisione direttamente a smartphone e social network sia uno shock culturale devastante.

È nel complesso un grande piacere conoscere queste persone.

Dal bath

Il cibo a Biloba non è mai stato un problema, i pasti sono copiosi, sempre piuttosto simili tra loro, ma gustosi.

È il classico Dal Bath nepalese, con frequenti varianti al suo interno. Riso, dahl di lenticchie o legumi (uno stufato o zuppetta), curry di verdure e patate. 

Il tutto va rigorosamente mischiato.

I locali lo consumano con le mani, io che con il cibo tendo ad essere pasticcione non ho sentito il bisogno di complicare le cose e son rimasto fedele al cucchiaio.

Saranno state le verdure provenienti dall’orto, la mancanza di alternative e quindi l’assenza di una fonte di altri desideri o che in generale l’appetito non mi manca, ma, nonostante la ripetitività, non mi ha mai stufato.

Anzi, ora che ci penso ne mangerei volentieri un altro.

Caffè

Colonna portante della fattoria vegetale, non ci sono animali, è la coltivazione del caffè. 

Non se ne produce in grande quantità, il progetto è ancora agli albori, la regione non è uno dei principali distretti produttivi del paese, la realtà è piccola e siamo lontani dal culmine del periodo di raccolta, tuttavia essendo una regione piovosa ci sono diverse fioriture e di conseguenza diversi raccolti durante l’anno.

In poche parole il primo giorno di lavoro bisogna pulire la vasca d’irrigazione. Raccoglie l’acqua piovana e preleva direttamente da un fiume poco distante. Il fondo è una miscela di residui sabbioso e fango, le pareti verdastre per le alghe.

Insieme a Dan e Dries, due ragazzi Belgi, muniti di un paio di pale e qualche scopetta di paglia ci diamo dentro, è una bella giornata, fa caldo ed in ogni momento si può usare la canna per rinfrescarsi. 

L’obiettivo, una volta pulita, di farla diventare per qualche giorno una piscina è una motivazione extra che non disdegnamo. 

Ci gestiamo per conto nostro, nel mentre si chiacchiera e ci conosciamo, terminiamo più che dignitosamente per l’ora di pranzo.

Nel pomeriggio è tempo di fare conoscenza con le piante di caffè, arbusti di tutto rispetto dalle voluminose foglie lucide. Apprendo che il frutto si raccoglie quando è rosso vivo e se la qualità è elevata ha un ottimo sapore. 

Aver scoperto la bontà del frutto non è un ottimo investimento per la fattoria, mangiandolo il seme è poi da buttare. 

Per arrivare al chicco da cui trarre la bevanda che ci accompagna al risveglio ogni mattina, bisogna raccoglierlo (qui si fa a mano uno per uno), mantenere il frutto integro, lavarlo, essiccarlo (qui lo fanno al sole per qualche settimana, se non piove..), separare in base alla qualità, sbucciarlo, selezionare i chicchi manualmente eliminando quelli danneggiati, tostarli e macinarli, nel caso si venda macinato.

È un procedimento lungo e dall’esito non sempre prevedibile. Vedere i chicchi distesi nei colorati essiccatoi e pensare che da lì venga una delle bevande più consumate al mondo mi sa di magia. Può sembrare banale, in realtà lo è, ma anno dopo anno sempre per meno persone. Non solo in occidente.

In Nepal, paese ricco d’acqua con un suolo fertile per quanto spesso geograficamente non semplice da gestire, negli ultimi decenni tantissimi hanno abbandonato le campagne per spostarsi in città.

La produzione alimentare è calata, aumentando prezzi e costo della vita che nelle zone metropolitane è già di per sé molto superiore.

A Kathmandu, la capitale, e dintorni i prezzi dei terreni sono alle stelle. Per la maggior parte delle persone i presunti miglioramenti di stile di vita spariscono presto all’orizzonte, questo meccanismo rischia di portare rapidamente alla mancanza di cibo, che per un paese povero impossibilitato ad esportare è un problema ancora maggiore.

Nel mio caso, in Europa, l’unica azione che devo fare per gustarmi un caffè è prendere la capsula ed inserirla nella macchinetta. Meno male che c’è. Ultimamente pure fare la moka mi sembrava un’inutile perdita di tempo.

Parlo da privilegiato, ho sempre vissuto in un paese a contatto con la natura, mia nonna aveva un magnifico orto, a cui ora rimpiango di non avere dedicato attenzione e nel mio piccolo, negli ultimi anni, qualche ortaggio ho provato a coltivarlo. Rimango fondamentalmente ignorante a riguardo.

Per le ultime generazioni, a maggior ragione per chi ha sempre vissuto in ambienti urbani, il cibo cresce al supermercato. La stragrande maggioranza della popolazione vive in grossi centri urbani, anche volesse non ha semplicemente modo di comprendere cosa c’è dietro. È stato creato un distacco totale che non può che generare abitudini poco sane.

La tecnologia può semplificare molto il processo di produzione, ma nessun strumento ti salverà se non sai come utilizzarlo nel modo giusto. Non serve un ritorno in massa alla terra. Serve consapevolezza. Un consumatore ignorante è un consumatore manipolato.

Vedere e contribuire direttamente al percorso che porta un alimento, una pianta, un frutto, una materia prima al piatto cambia totalmente la percezione e l’importanza che si attribuisce a quello che si mangia. Conoscerne il processo di produzione significa già riconoscerne il valore, ciò non può che portare ad un alimentazione più sana, ridurre gli sprechi ed una serie infinita di benefici per noi e per l’ambiente.

È naturale, al contadino mai verrebbe in mente di sprecare quello che ha faticato tanto per produrre. Che sia anche un cetriolo crudo, se lo gode fino all’ultimo.

Mi faccio domande a cui non mi illudo di trovare una risposta in quindici giorni in una fattoria nepalese. Sarà che trovo puro piacere nel riflettere sulle cose, con il rischio di vaneggiare e sparare qualche cazzata, ma in fondo apprezzo la praticità e l’essenziale. 

Mi sono dunque chiesto che valore abbiamo in quanto esseri umani se arriviamo a perdere e deformare totalmente il rapporto con la fonte primaria del nostro sostentamento, il cibo? Se perdiamo di vista che l’ambiente è l’unica nostra casa ed il nostro benessere non può che passare da lì? 

Semplicemente ne facciamo parte, non si può credere di esserne al dì sopra.

Abbiamo davvero tante cose più importanti da fare? Lungi dal trovare una risposta, è già un inizio porsi qualche domanda.

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Comments (2)

  • Leonardo 2 anni ago Reply

    Grazie Laura, sono felice che ti interessi quello che scrivo. Troppo gentile con il paragone 😉

  • Laura 2 anni ago Reply

    Ciao Leo leggo sempre con molto interesse ed attenzione i tuoi racconti scritti benissimo con molta chiarezza linearità e semplicità ma molto utili per capire le realtà che stai vivendo e che leggendo condividiamo anche noi .
    Come sempre ti ringrazio per queste belle pagine non hai nulla da invidiare a Piero Angela .

    Buon proseguimento aspetto il prossimo appuntamento un abbraccio

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