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Post-it sul frigo

Raggiunto il punto più elevato del circuito ci è voluta quasi un’altra settimana di cammino attraverso la valle del Kali Gandaki per portare a termine il percorso.

Il villaggio di Kagbeni nella regione ad influenza Tibetana del Lower Mustang,  con il suo districarsi di piccoli vicoli tra le tradizionali abitazioni in fango e sassi, insieme a quello di Lupra, che di fronte ad un’immensa parete di roccia, sembra spuntare come vegetazione sulle rive di fiume in una valle altrimenti arida, quasi desertica, sono probabilmente i due luoghi che ricorderò più con piacere.

La strada non è stata tutta in discesa, anzi.

Il penultimo giorno, passando dai 1100 metri di Tatopani ai 2800 di Ghorepani, ha avuto poco da invidiare alle fatiche in alta quota, facendomi sudare la quasi totalità delle mie riserve idriche. A quel punto il paesaggio è tropicale, l’umidità alle stelle.

Dopo una breve salita per vedere la fotogenica e social friendly, ma nuvolosa nel mio caso, alba a Poon Hill, ho concluso questo magnifico percorso a Nayapul. Faticando ancora a separare l’una dall’altra le tante emozioni vissute.

Annapurna circuit.

Due parole come tante altre quando ne sono venuto a conoscenza su un sito internet, hanno ora per me un significato speciale. Probabilmente nemmeno i 246 chilometri e più di 13 mila metri di dislivello positivo percorsi lo riescono a contenere.

“Hanno pianto un po’, poi si sono abituati. A tutto si abitua quel vigliacco che è l’uomo!”

Scomodo Dostoevskij, senza una reale ragione.

È una frase che mi è rimasta impressa anni fa, ogni tanto storie, situazioni di vita me la fanno tornare in mente, con sogghigno annesso. Descrive bene il maggiore punto di forza, ma anche una delle croci della “bestia umana”. Figurarsi a me quanto è costato abituarmi alle giornate comode e sedentarie a Pokhara dopo 15 giorni di trekking in ambienti non sempre ospitali.

Zero appunto, non me ne sono manco accorto. Dopo tanto sudore, il mio Io rinvigorito pensa anche di meritarsela. In questo caso non c’è scampo.

Da trekking in montagna di sei ore di seguito, ad evitare un ristorante perché bisogna camminare venti minuti il passo è sorprendentemente breve. Pokhara in questo ha un magnetismo eccezionale, i giorni passano in fretta, l’ansia del “dover fare”, “dover vedere” è presto sopita.

Prima che l’abitudine faccia il suo corso, tornati da un periodo di (comunque limitate) privazioni si guarda con occhi diversi alle comodità, date per scontate tutti i giorni. Adottando questo punto di vista anche il lusso è una questione relativa. In questo momento avere una camera singola, con doccia calda e la possibilità di sedermi sulla tavoletta del wc mi fa sentire un nababbo.

La cosa significativa è che lo apprezzo fino in fondo e non sono momenti poi meno piacevoli di camminare tra montagne innevate, anzi li trovo indissolubilmente legati. Meno facile è tenerlo a mente quando, giorno dopo giorno, la consuetudine al comfort si infiltra come acqua piovana negli infissi durante i temporali estivi. Nel caso si può sempre tornare a 4000 metri e ripartire da capo, ma non è sempre possibile farlo.

Più opportuno invece chiedersi dove finisce il comfort e dove inizia l’ingordigia, l’avidità.

In questo senso dopo decenni e decenni di continua ascesa dei nostri standard quella che una volta era una solida finestra è diventata poco più che una tenda e fuori c’è un tifone forza 5.

Ci si trova quindi con l’acqua alla gola. Per respirare come si deve e, l’abitudine ci insegna, la cosa più semplice da fare è alzare ancora un po’ l’asticella.

Aggiungere, aggiungere.

Si ha l’illusione di stare meglio, essere felici. Per poco. Tendenzialmente, è vero il contrario. È più facile avvicinarsi alla serenità togliendo il superfluo e tutte le preoccupazioni, limitazioni che ne derivano. Non sarà il dodicesimo paia di scarpe a farci sentire realizzati.

A cosa serve la super automobile iper accessoriata se si vive nell’ansia che qualcuno la rubi o si danneggi?

Non può essere un oggetto a condizionarci le giornate. Quanto del nostro tempo, delle nostre vite è dedicato a raggiungere o mantenere questi standard? A inseguire qualcosa che il più delle volte è un desiderio imposto da altri, dal pensiero comune, dalla società.

A cosa serve il capo firmato se quando l’indossiamo siamo terrorizzati dallo sporcarci e non osiamo nemmeno pensare di sdraiarci su un prato?

Gli oggetti devono semplificarci la vita, non complicarcela.

Altrimenti diventano un inutile fardello, creano solo confusione ed illusioni.

Non intendo dire che bisognerebbe tornare nelle caverne, ci abbiamo messo milioni di anni ad uscirne, ma trovare un giusto compromesso, possiamo fare sicuramente di meglio. Se siamo davvero esseri evoluti è il caso di iniziare a comportarsi come tali. Ne c’è bisogno di emulare San Francesco, anche se il mondo odierno avrebbe sicuramente più bisogno di esempi simili rispetto ad Elon Musk.

Sarebbe il caso di prendere un secchio ed iniziare a svuotare, potremmo scoprire cose meravigliose lì sotto.

Ne gioveremmo noi stessi, di conseguenza chi ci sta intorno, per non parlare degli incalcolabili benefici a livello di impatto ambientale della cosa. Se proprio non si vuole togliere, prima di accumulare qualcos’altro è lecito almeno chiedersi se ne abbiamo davvero bisogno.

Essendo ancora pieno di energie e, tutto sommato, all’inizio del mio viaggio, dopo un paio di giorni cambio sistemazione e torno in dormitorio dove ritrovo alcuni dei miei compagni di trekking. A pochi chilometri da Pokhara si trova Begnas Lake, il terzo lago più grande del Nepal (non esattamente la Finlandia) e pure balneabile. A dir la verità anche il pittoresco Phewa Lake di Pokhara è balneabile, ma personalmente non me la sono sentita.

A Begnas l’acqua non è cristallina, l’ambiente però molto piacevole e straordinariamente verde. L’acqua è calda, la massima profondità 10 metri, una grossa piscina in pratica. Ho il sospetto che, per ragioni geografiche, i Nepalesi non siano grandi nuotatori.

A pochi metri da riva c’è una serie di pali in legno disposti a formare un quadrato, a diversi di essi sono aggrappate alcune persone intente a saltare, sguazzare da un traliccio all’altro. Non ne ho la certezza, ma mi sembra un modo piuttosto empirico per imparare a nuotare. Fa parecchio caldo anche fuori, entrare in acqua è liberatorio.

Dove altro si può fare il bagno (caldo) con sullo sfondo gli ottomila dell’Himalaya? Due mondi agli antipodi.  La bellezza del Nepal è anche questa. Nonostante la mia fervida immaginazione qui di pericoli subacquei non ce ne sono.

In lontananza pescatori sulle loro barchette, con estrema calma, controllano le loro reti. Mi lasciò galleggiare a testa in sù, perso nell’ascoltare i suoni della natura, nel seguire con gli occhi il volo degli uccelli.

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Comments (2)

  • Lina Piscina 2 anni ago Reply

    Buon viaggio Leo !!!!

    Leonardo 2 anni ago Reply

    Grazie Lina!

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