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Ogni uomo ha una montagna da scalare

Vi racconto la mia.

Sopra i 3000 metri il clima cambia notevolmente, specialmente al mattino presto ed alla sera. Ci si sente come animali a sangue freddo. Il sole diventa una benedizione, per il corpo e per lo spirito, rinvigorisce e ricarica le energie per mettersi in marcia. Lasciata alle spalle Dhikur Pokhari conviene seguire il sentiero che si separa dalla strada principale, è più faticoso ma regala viste impagabili. Lentamente salgo in mezzo ai pini, incantato mi fermo a contemplare il picco innevato dell’Annapurna III, casualmente ho la musica nelle orecchie, ancora più casualmente ascolto una canzone che mi fa venire i brividi. Forse a questo punto non è più un caso. Sento le lacrime scendere lungo il mio viso.

La montagna è là, eterea, vicina ma irraggiungibile, tra i ghiacciai immagino mio padre, felice di vedermi qui. E’ un attimo, mi sembra di galleggiare a mezz’aria. Sono 10 anni che non è più con noi. Lo ricordo prendermi bonariamente in giro per essermi messo a camminare durante i 12 minuti del test di Cooper nell’ora di educazione fisica. Quanti anni avevo? 14? 15? Nella memoria si miscelano ricordi, difficili da sbrogliare. Li seguo come un funambolo, cercando di non perdere l’equilibrio.

La maggior parte dei miei anni ho rinnegato la fatica fisica, la sofferenza, se avevo una motivazione esterna, una palla da inseguire, il sentirmi parte di una squadra, davo tutto, ma altrimenti che senso aveva fare fatica fine a sé stessa? Giocavo a calcio sperando non mi passassero il pallone, così non c’era pericolo che commettessi un errore. La paura di sentirmi inadeguato dominava. Con il basket era diverso, strappare un rimbalzo in mezzo a gente più alta di me mi dava ancora più adrenalina che segnare un canestro, annullare l’avversario diventava una missione, dimenticavo tutto il resto. Forse il dover sia attaccare che difendere mi teneva in allerta costante, non avevo tempo di razionalizzare. Solo in quel rettangolo di 28 metri per 15 riuscivo ad agire per puri istinti, a prendere di petto ogni situazione e non tirarmi indietro. Nei giorni bui era un’isola felice, una valvola di sfogo. In palestra, al campetto, dietro casa. Da solo, in compagnia. 50, 100, 200 tiri a canestro e mi sentivo meglio.

Il momento in cui la mia vita è drasticamente cambiata ero a giocare al campetto “dei preti”, come lo chiamiamo nel mio paese. Vedi passare l’ambulanza, ti fermi un attimo, siete usciti di casa insieme pochi minuti fa. Arriva un brutto pensiero, un peso sullo stomaco, lo scacci. No, non può essere, non puoi immaginare, riprendi a giocare, sereno. Invece è proprio così, quell’orribile supposizione durata pochi secondi è ora la realtà. La peggiore possibile. Per anni ogni volta che sentirò il rumore delle sirene mi sembrerà di essere trafitto da parte a parte. Come se dentro al petto si creasse una voragine e l’ambulanza mi passasse attraverso. Chiamalo caso, chiamalo destino. Da quel giorno trovarmi davanti ad un canestro era diventato come uscire dal tempo, tutto tornava com’era prima, si azzeravano i pensieri. Stare in quella bolla sospesa era la mia terapia. Consapevolmente o meno, funzionava.

Finché un ginocchio non cede.  Provo e riprovo a tornare nella mia isola felice, ma il prezzo è sempre più salato, un’ora lì dentro vuol dire una settimana a zoppicare come un ottantenne. A volte me ne frego e ci vado lo stesso, ma non può funzionare. Sale la rabbia, presto si trasforma in sconforto, sono a corto di armi per combatterlo. È la goccia che fa traboccare un vaso ormai stracolmo. Buio pesto. Non riesco più ad evadere, cambiare il mio stato mentale. E’ una reazione a catena.  Il senso di agency in psicologia è la consapevolezza di avere desideri, scopi e poter influenzare attivamente il nostro stato interno e l’ambiente che ci circonda. Scarsa agency vuol dire essere passivi, in balia di forze esterne, incapaci anche solo di riconoscere i propri desideri. Mi sento spettatore della mia quotidianità, vado avanti per inerzia. Dove?

Non ne ho idea, spesso non mi interessa neanche. A volte ho spinte vitali, sogno di poter cambiare le cose, ma i miei schemi mentali le spengono in fretta. Alle prime difficoltà, anche solo immaginarie, la motivazione sparisce, insieme alla fiducia in me stesso. È il momento peggiore, riesco solo a lavorare, il senso del dovere me lo impone, al di fuori di quello la mia vita è un trascinarmi da parte a parte e fingere vada tutto bene. Purtroppo sono bravo a farlo, spesso mi autoconvinco sia così, alla fine non mi manca niente penso. Non faccio altro che mentire a me stesso, ignorarmi, i mostri tornano, ancora più violenti. Subisco in silenzio. Vorrei sotterrarmi. Una parte di me sa di aver bisogno di aiuto, l’altra non lo accetta. Perché?

Non voglio mostrarmi debole, malato. Eppure se hai male al ginocchio ci vai dall’ortopedico. Sono preda di un approccio medievale della nostra società alla psicologia, alla depressione. Un giorno sono al punto di non ritorno, sento di non avere alternative. A forza di seppellirle le emozioni ritornano alla superficie incontrollabilmente. Sotto al tappeto non c’è più spazio, l’armadio è pieno. Mi decido.

La prima esperienza non è positiva, non mi sento a mio agio, mesi di chiaccherate per arrivare ad un farmaco, che mi fa sentire ancora più alienato dal mondo. Contribuisce a farmi venire un attacco di panico mentre guido solo in autostrada, non ho più il controllo sul mio corpo, i miei movimenti, i miei pensieri, sono paralizzato in terza corsia ai 60 all’ora, le mani incollate al volante, finché, dopo parecchi chilometri non riesco a fermarmi in un’area di sosta, è terribile. Cosa ne sarà di me penso?

Sospendo immediatamente la cura e terapia.  Mia sorella trova un bravo medico, mi da la spinta per risalire, so che i farmaci non possono essere la soluzione a lungo termine, ma nel breve quelli giusti possono fare la differenza, mi danno modo di poter aiutare me stesso, di poter reagire. Intraprendo un lungo percorso di psicoterapia, inizialmente fatico a coglierne i frutti, lentamente imparo a guardarmi dentro, ad ascoltarmi, sentirmi. Ho davanti un professionista paziente, non mi mette fretta, non mi forza in nessun senso. Finalmente capisco che non c’è nulla di male a dare priorità e prendersi cura di quella persona che incontro davanti allo specchio tutte le mattine, lavoro su me stesso, leggo dei libri sul tema, leggo le mie emozioni. Gli schemi mentali si possono rompere. Torna il momento di rimettersi in moto, anche fisicamente. Corpo e spirito sono due facce della stessa medaglia. Lo sport è spesso maestro di vita ed io quella lezione uscito dalla classe l’avevo dimenticata.



Salgo sulla mountain bike, mi sento bene nella natura. Avverto buone sensazioni, sta cambiando qualcosa. Un giorno il telaio si crepa, irreparabile mi dicono, causa covid ci vorrà qualche mese per avere una bici nuova. Non voglio smettere di fare attività fisica e solo per questo motivo inizio a correre, un’attività che ho sempre ripudiato. Noiosa, inutile, non faceva per me. Inevitabilmente corro lentamente, ma poco importa, inizio a notare che mi fa sentire bene, mi da fiducia, mi permette di gestire la fatica, la sofferenza, le difficoltà. Lì forse il mio viaggio, a lungo accarezzato, ma mai ritenuto possibile, la mia pulsione vitale, ha iniziato materialmente a prendere forma. Nasceva la convinzione di poterlo fare. Corro ogni tanto, senza una meta, fin troppo conscio dei limiti che mi sono dato da solo. Un amico insiste per fare un trail (corsa in ambiente naturale). 20 chilometri? Con parecchia salita? Sei matto? Non ne ho mai fatti più di 10. In piano. Ho paura che il ginocchio non regga. Riprendo in mano una bicicletta per potenziarlo. E’ testardo l’amico e a me non piace tirarmi indietro. Per un motivo o per l’altro lo assecondo, l’importante è arrivare al traguardo. Ci arrivo e non tardo a capire l’iniezione di fiducia che mi può donare questa cosa.

La spinta finale me l’ha data il mare. Il mondo blu che mi incuriosiva ed intimidiva allo stesso tempo, dove le regole della terraferma non valgono più. Mi è sempre piaciuto esplorarlo, immergermi in un’altra realtà, ma solo fino ad un certo punto, con il freno a mano tirato. È l’emblema di tutti i miei timori. Nuotare lontano da riva non fa per me, mi mette a disagio, ho paura, dell’ignoto, dell’oscurità, dello squalo, ho paura. Eppure c’era l’attrazione, poi a quella si unisce la presa di coscienza. Questo non sono io, sono solo i miei pensieri, le mie paure. Non mi appartengono. Devo affrontarlo, sentirmi a mio agio in quella distesa azzurra. Inizio a nuotare, pian piano mi spingo un pò più in là, sempre con la maschera, devo vedere tutto, non si sa mai, ma intanto nuoto. “Cos’era quell’ombra?” Non importa, muovi le braccia, vai avanti. Lascia a casa la maschera, compra gli occhialini. L’acqua è torbida, non vedo niente, penso che forse è meglio così e continuo a nuotare, sembra di fluttuare nello spazio. Ormai è autunno, l’acqua è fredda, ma un amico ti presta la muta e allora quel mondo blu è tutto per te. Oggi il mare è mosso, da solo non me la sentirei, ma in due è più facile e allora nuoto lo stesso, mentre esco dall’acqua mi sento un gladiatore. Continuo a nuotare. E’ inverno, entro in mare e mi gela la testa. “Fanculo, chi me lo fa fare, adesso esco.” No che non esco, faccio due bracciate e vado, ormai ci sto bene qui dentro.

Diventa un luogo in cui non vedo l’ora di immergermi, un rifugio, la mia meditazione. Dove i pensieri non contano, è un moto perpetuo nel tuo inconscio, non vuoi fermarti, come il continuo infrangersi delle onde.

Qui sono tutto quello che ho sempre pensato di non poter essere. Muovo le gambe, scalcio, non ci sono più reti immaginarie. Un metro alla volta mi riprendo la mia vita. Forse grazie al mare, riuscirò a scalare la mia montagna. La paura non è scomparsa, è lì, la osservo, ma questa volta non torno indietro. Esco dall’acqua rinvigorito. Parto, sono qui, sto ancora osservando la montagna. Mi asciugo le lacrime. Sorrido.

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Comments (15)

  • Viviana 2 anni ago Reply

    Forza Leonardo, ragazzo buono e gentile, vedrai che riuscirai a trovare il TUO senso della vita. In bocca al lupo e a presto.

    Leonardo 2 anni ago Reply

    Crepi il lupo e Grazie Viviana!

  • Franco 2 anni ago Reply

    Grandissimo Leonardo.Io credo che lassù qualcuno sia estremamente orgoglioso di avere un figlio come te.

    Leonardo 2 anni ago Reply

    Ti ringrazio per le belle parole Franco

  • Eros 2 anni ago Reply

    Ciao Leonardo un caloroso abbraccio , saluto e buon proseguimento Eros

    Leonardo 2 anni ago Reply

    Grazie Eros, un abbraccio!

  • Monica 2 anni ago Reply

    Un viaggio nel viaggio dell’anima e, tu, ne hai una bellissima. Grazie, la tua condivisione fa del bene

    Leonardo 2 anni ago Reply

    Troppo gentile, grazie Monica!

  • Joanna 2 anni ago Reply

    What a wonderful journey you’re on Leo, both physical and spiritual. Your words and your courage are really touching.
    Your father would be very proud of you.

    Leonardo 2 anni ago Reply

    Thanks Joanna! Just did what i felt was right for me.

  • Johnny 2 anni ago Reply

    😉

  • Leonardo 2 anni ago Reply

    Grazie Susi! Un abbraccione

    Valbona 2 anni ago Reply

    Ciao Leonardo. Nel leggere le tue emozioni mi emoziono anch’io. Sei un bravo ragazzo. Sarà indimenticabile questo viaggio. Ovunque sarà tuo padre sarà fiero di te

    Leonardo 2 anni ago

    Grazie mille Valbona!

  • Susi Del Tredici 2 anni ago Reply

    Che emozione e che belle parole Leo!
    Un abbraccio grandissimo!

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