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Kathmandu 2079

Prima di partire pensavo ai compagni di stanza come ad una grande incognita, giunto al primo ostello mi aspettavo di trovare viaggiatori principalmente western ed invece su 8 letti, oltre al mio, ce ne sono solo altri due occupati, rispettivamente da un indiano di mezz’età visibilmente sovrappeso, che scoprirò essere un portentoso russatore ed un placido signore dello Sri Lanka con la passione per i viaggi, in procinto di tornare a casa non prima di aver attraversato l’India. Grazie a Dio (o agli dei, visto dove mi trovo) ho degli ottimi tappi per le orecchie e riesco a dormire decentemente.

Dedico qualche ora all’esplorazione di Durbar Square, cuore storico di Kathmandu, in passato ospitava la residenza reale ed ancora oggi è luogo di importanti cerimonie, patrimonio Unesco, è magnifica nella sua bellezza decadente, complice anche il devastante terremoto del 2015 di cui diversi templi riportano ancora i segni.

Un portafoglio con le gambe

Qui è facile fare la conoscenza di diversi piccoli truffatori che si offrono volontariamente di accompagnare il malcapitato di turno in un giro turistico della piazza per poi condurlo in una delle diverse presunte “scuole di pittura” per vendergli dei mandala e disegni tradizionali locali a prezzi folli, spacciandoli per fatti a mano con un singolo pelo di Yak.

Nella capitale Nepalese, come in altre parti dell’Asia, si ha spesso la sensazione di essere visti come un “portafoglio con le gambe”, in queste modalità capita quasi esclusivamente nei posti più turistici e Durbar Square purtroppo è uno di questi, in altri modi, più subdoli, capita in tutto il mondo, ma questo è un altro discorso che magari affronteremo in seguito. A pochi passi di distanza si trova Freak Street, diventata celebre per essere stata il punto di arrivo per gli hippie di tutto il mondo, tra la fine degli anni ’60 ed inizio anni ’70, splendidamente ed autenticamente raccontata da Charles Duchaissous nel libro “Flash: Viaggio a Kathmandu”, di quei tempi è rimasto poco o niente, sembra una via come tante altre, piena di negozi di cianfrusaglie e ristorantini anonimi.

Decido di allontanarmi a piedi dalla zona, senza una meta precisa, attirato dalla musica e dai cartelloni entro in una specie di parco, più che altro un grande e polveroso prato recintato. Al centro si innalza un imponente palco, con tanto di riprese televisive, circondato da numerosi stand, sopra di esso ci sono dei musicisti ed un coro che si esibiscono in canzoni tradizionali locali.

Sono l’unico straniero e dopo un paio di minuti vengo avvicinato da un uomo sulla trentina dall’aspetto trasandato, si chiama Nabraj, incuriosito dalla mia presenza, dopo svariate domande, mi spiega che si tratta di una importante competizione di musica tradizionale, una sottospecie di X factor nepalese, prende confidenza e dice di essere un financial trader ed aver visitato l’Europa diverse volte, con tanto di biglietto da visita mostrato fieramente. Anche lui ha un affare da propormi, se volessi importare delle spezie in Europa lui mi può aiutare. Sto mangiando una banana, per poco non mi va di traverso, mi viene da ridere per la strana situazione, ma è gentile non voglio certo offenderlo. Non me ne intendo di musica nepalese, ma la melodia crea un bell’ambiente ed un gruppetto di persone si lancia in balli tradizionali.

Pashupatinath

Altra perla della città è Pashupatinath, il tempio Indù più importante del Nepal, qui oltre ai colorati sadhu, asceti che dedicano la propria vita alla rinuncia della società non possendendo nulla e vivendo dei doni dei devoti, si possono osservare numerose cerimonie funebri, con la cremazione dei corpi sopra pire di legna e la dispersione delle ceneri nelle acque del Bagmati. Ci sono varie pire, più o meno vicine al tempio principale a seconda del ceto sociale ed alla disponibilità economica della famiglia del defunto, è una cerimonia intensa e carica di energia che fa riflettere sul loro modo di vedere la morte, molto diverso rispetto alla nostra realtà dove viene considerata spesso un tabù, un qualcosa da nascondere, di cui è meglio non parlare, una visione rafforzata negli ultimi decenni dal mito dell’eterna giovinezza, ben nutrito da pubblicità e marketing.

L’aria a Pashupatinath diventa ancora più surreale dopo il tramonto, durante la cerimonia Aarti, un rituale dedicato al dio Shiva, che consiste in danze con torce e candele agitati con movimenti circolari. A pochi minuti di cammino si trova lo stupa di Boudanath, altrettanto incantevole, uno dei più grandi al mondo, importante centro della religione buddista. Queste due religioni in Nepal convivono fianco a fianco in sostanziale pace, purtroppo rappresentano un’eccezione nel panorama mondiale.

Kathmandu - Stupa Boudanath
Stupa Boudanath

E’ ormai il capodanno Buddista, suona strano dirlo, ma domani sarà il 2079, per i Nepalesi è a tutti gli effetti l’ultimo giorno dell’anno, mi trovo con Tom, un ragazzo inglese conosciuto al centro permessi per i trekking, Thamel questa sera è insolitamente movimentata, vedo dei poliziotti armati di bastoni di legno, ci sono armi ben più pericolose, ma non sono esattamente invitanti. Dopo un giro al Sam’s bar, spettatori dei racconti di un esuberante giovane trekker nepalese faccio ritorno in ostello. I miei due coinquilini se ne sono andati ieri e penso non sarebbe male avere ancora tutta la stanza per me. La stanze è effettivamente vuota, sembra però un bar a fine serata, tutti i letti sono a soqquadro, in giro ci sono diversi bicchieri e bottiglie vuote con la chicca di qualche mascherina e patatine sparse qui e là. Incredulo vado di sotto a parlare con un dipendente della struttura, non aspettandomi un grande interesse, senza nemmeno alzarsi dal divano mi dice che sono arrivate delle ragazze per festeggiare il capodanno e se me l’hanno sporcato posso cambiare letto. Discutere servirebbe a poco, nella notte decido che è il momento di cambiare aria, domani vado a Bhaktapur.

Sono tra il divertito e lo scocciato quando al mattino vedo cinque ragazze nepalesi, di non più di vent’anni, che mi guardano come se fossi un animale allo zoo.

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