Loading...

Si stava peggio quando si stava peggio

Uomo addormentato Nepal

La mia prima esperienza con i mezzi locali, seppur breve è piuttosto intensa.

Bhaktapur si trova a circa 15km da Kathmandu, per raggiungerla in autobus ci vuole un’ora.
È una cittadina distinta dalla capitale, anche se di fatto, visto il continuo allargamento di quest’ultima, tra le due non c’è separazione.

 

Riders on the storm

 
Salito sul colorato e piccolo bus, già quasi pieno, tentenno per qualche istante non avendo la più pallida sul idea dove poter mettere il mio voluminoso bagaglio, nel mentre salgono due ragazze e vanno ad occupare gli ultimi due posti a sedere sul fondo della vettura.
Perplesso, mi siedo in un minuscolo cuscinetto di pelle dietro il sedile dell’autista, ritenendomi fortunato di aver occupato l’ultimo posto disponibile sul veicolo. 
In effetti fortunato lo son stato, ma dopo di me sono salite altre ventuno persone, almeno finché sono riuscito a contarle.
 
Protagonista del viaggio è il portinaio, cassiere, buttadentro (non saprei come altro chiamarlo) che sosta sulla porta del mezzo (sempre aperta) per tutto il tragitto.
Il suo compito principale è riscuotere le 30 rupie nepalesi (0,20 centesimi di euro) da ogni persona che sale, ma non si limita certo a questo.
Mentre il mezzo è in movimento richiama costantemente l’attenzione delle persone a bordo strada, chiedendo se debbano andare a Bhaktapur, inoltre fa anche da clacson aggiunto, esibendosi in articolati fischi ai motorini che passano a fianco, occasionalmente instaurando anche brevi dialoghi con i conducenti.
È inarrestabile ed invidiabile per la sua infinita energia.
 
A rendere il tutto più surreale sopra la porta scorrevole del bus ci sono rispettivamente un poster di Jim Morrison con dei serpenti in testa ed uno, consunto, di Kurt Cobain strappato durante il tragitto dal portinaio tuttofare in uno dei suoi tanti momenti compulsivi.
Poco a poco le persone si accumulano, non penso ci sia materialmente più spazio, al punto che mi ritrovo un bambino seduto sopra il mio zaino, che si trova tra le mie gambe, fino a quando non arriviamo a Bhaktapur.
 
Seppur vicine, è completamente diversa da Kathmandu, non c’è frenesia, sembra di essere tornati indietro nel tempo.
 

Bisket Jatra

 
Appena entrato in ostello, Bishwo, il proprietario, mi informa che a minuti accompagneranno gli altri backpacker che dormono nella struttura al festival.
 
Non perdo l’occasione ed in un attimo sono catapultato al Bisket Jatra, la spettacolare festa che annuncia il nuovo anno Nepalese.
Arrivati nella piazza di Khalna Tole mi ritrovo in mezzo ad un folla di persone come forse non mi è mai capitato prima d’ora.
I palazzi sembrano formicai, da ogni finestra balcone spuntano diverse teste ed anche i tetti sono affollatissimi.
 
L’attenzione è tutta verso l’imponente e variopinto carro di Bhairab, conteso in un enorme tiro alla fune tra i cittadini della zona orientale e quelli della zona occidentale della città.
A poca distanza si trova un lingam, un tronco di venticinque metri ricavato da un grosso albero e collocato in un basamento di pietra, anche questo nel mezzo di un emozionante tiro alla fune, fino a quando una delle due parti prevale e si schianta violentemente al suolo, causando a volte incidenti mortali.
 
Per fortuna questa volta va tutto bene e nonostante i presenti siano tantissimi e molto coinvolti nei festeggiamenti l’atmosfera è totalmente amichevole, come dovrebbe essere ad ogni festa che si rispetti.
Passato il momento clou della festa il nostro accompagnatore, Janice, giovane nepalese di 24 anni, ci porta in un ristorante nelle vicinanze, insiste per farci assaggiare il Tuo, birra di riso tipica della zona che per gusto a me ha ricordato il saké giapponese ed il Juju Dhau, re degli yogurt, compatto, cremoso e zuccherato, servito in una grande ciotola di terracotta.

 

Mai sazi

 
La serata trascorre piacevolmente, Janice ci invita a condividere aneddoti dei nostri paesi, a tavola ci sono inglesi, australiani, tedeschi e francesi, ne nascono conversazioni interessanti e disilluse sui nostri rispettivi stati, alla fine però prende lui la parola, dice che gli fa molto piacere sentire parlare dei nostri viaggi e con una nota di malinconia dice di non essere mai uscito dalla sua nazione, nonostante sia sicuramente benestante per la media locale.
 
Ammette che a volte pensa di essere nato nel posto sbagliato del mondo.
Si lascia andare, ci parla delle feste locali, alcune grottesche, come quella in cui un bufalo viene dissetato con birra al riso e lasciato scorrazzare alticcio per le vie del paese.
 
Si lamenta del fatto che alle nuove generazioni non interessano i festival tradizionali, facendo notare che fino a qualche anno fa lì non esisteva la depressione, ogni settimana, mese c’era una festa, si seguiva la cultura locale ed il resto non importava, mentre ora iniziano ad esserci vari casi.
Una ragazza francese gli fa notare che probabilmente ci sono sempre stati, ma non venivano riconosciuti.
Non le credo. Non penso sia così semplice.
 
Il benessere economico ci ha dato tanto, faccio fatica anche solo ad immaginare come fosse vivere un secolo fa.
 
Allo stesso tempo l’eccessivo culto dei beni materiali, l’esserci spogliati delle nostre radici per uniformarsi l’uno all’altro, ha creato un vuoto interiore, ci ha lasciato nudi.
 
Attenzione, non significa che “si stava meglio quando si stava peggio”, in ogni cambiamento si acquista qualcosa e si perde qualcos’altro. Nel nostro caso gli enormi e rapidissimi effetti positivi della rivoluzione industriale prima, e tecnologica poi, oltre a darci le comodità che tutti amiamo, ci hanno reso miopi e insaziabili, trovando in un ritorno economico o di immagine immediato (che poi stanno diventando la stessa cosa) l’unica ragione possibile, fagocitando tutto il resto.
 
Eterna insoddisfazione e depressione mi sembrano le naturali conseguenze.
Si può cercare un’altra via?

 

11

You might also like

Comments (4)

  • Leonardo 2 anni ago Reply

    Siamo d’accordo Rodolfo, tuttavia il denaro è diventato il principale generatore di valori, questo non può funzionare sul lungo termine, non in una società sana.

  • Rodolfo Marchini 2 anni ago Reply

    Certamente, la via che abbiamo davanti in Occidente, in linea di massima, non offre un senso alla vita se non diamo il giusto peso ai valori e ai controvalori. E tra i valori c’è anche un certo benessere materiale, a condizione che non sia un’ossessione assoluta a fare sempre più soldi e ad avere sempre più “immagine”. Così come è un valore la spirituale pace con sé stessi. Essa, a mio parere, consiste nella consapevolezza di corrispondere moralmente alle regole che abbiamo liberamente condiviso in quanto utili a dare giustizia ordinata alla società. Tutto il resto mi sembra un insieme di controvalori che avvelenano la vita e possono renderla talvolta insopportabile o depressiva.

  • Roby Shaun Kenobi 2 anni ago Reply

    Tu la stai trovando l’altra via. Complimenti, bell’articolo e bellissime considerazioni finali.

    Leonardo 2 anni ago Reply

    Grazie mille Roby!

Leave a Reply